Memoranda dell’Anima di un Figlio

– Nell’Anno della Vita consacrata –

Prodigo e avaro

Estathe e carrube

Stavolta, diamo voce ai ricordi di un’anima nota a tutti: quella del figlio prodigo.

Anima perduta e ritrovata dal Padre misericordioso!

È l’anima di un giovane che scappa di casa – nel senso che vive più in strada e in piazzetta con gli amici, che in famiglia – affoga le domande importanti nei facili consumi, ha fame di soldi, sesso e successo; trasgressiva e ribelle fuori per non tradire un cuore sensibile e buono dentro.

Muore dalla paura di aver paura.

Vive una vita spericolata, ignorando che il pericolo più grave è l’ignoranza.

La droga che usa di più non è la marijuana, forse nemmeno l’alcol, ma l’estathe…

Infatti, vive anche senza spinelli, senza gli shortini del sabato sera, ma mi chiedo: vivrebbe lo stesso senza estathe?

Proverebbe a sfamarsi di carrube, come i porci della parabola?

Che cosa sta cercando?

Quadro 1: Partenza

«Cara anima mia, non so se esisti o se sei solo un’invenzione di quel bigotto di papà: di certo non ti ho mai parlato.

Spesso non capisco che cosa voglio, per che vivo; parlare con qualcuno può aiutarmi, anche se è un fantasma o solo fantasia…

Papà non mi ha mai negato nulla, sia a me che a mio fratello.

Mamma mi aspetta quando torno tardi, mi assiste quando sono ubriaco. Non dice: Che fai? Stai sprecando la vita! Tuo padre ed io abbiamo fatto di te un bravo ragazzo, mentre tu…

Davvero bravi a non fare prediche, i miei vecchi. Eppure, lo vedo che sono tristi. Che gli sto spezzando il cuore mentre gli sputo in faccia che di loro non mi importa, che voglio vivere come mi pare, che tanto non possono rendermi felice.

Non sono mai contento. L’hanno capito.

Per questo mi hanno lasciato partire, con la mia parte di soldi, il lavoro di una vita, e andare lontano… fino a dove posso e fino a quando mi va.

Non ho intenzione di tornare.

Ma se tornassi, dovrei fare i conti con te, anima mia… Magari qualche predica me la faresti, se solo ti ascoltassi…

Quadro 2: Ritorno

Come non detto. È bastato darti un po’ di spazio, che ti sei presa tutto.

Niente più soldi, sesso e successo e tu sei saltata fuori, come il grillo di Pinocchio, e mi hai messo in testa una parola che mi ha trapanato il cervello, e lo stomaco, e il cuore: “fame” e poi un’altra, “casa”, e l’ultima, “padre”.

Anzi: mio padre…

Voglio tornare!

Ma un macigno rende pesante le gambe, ad ogni passo. Anche solo alzarmi in piedi: che fatica!

Volevo tornare; chiedere perdono… E sono tornato.

Mio padre era là, una cosa sola con mia madre.

La speranza si affaccia sempre alla finestra, dall’alba al tramonto.

Ancora lontano, mi vede, si mette a correre pazzo di gioia, mi abbraccia e senza parlare mi dà un bacio.

Quel bacio perdona tutto.

Ora corro anch’io, come nuovo: mi sento amato!

Facciamo festa! Senti che musica! La più contenta sei tu, anima mia!»

Due figli

La parabola, che abbiamo contemplato con i giovani nei giorni in cui abbiamo ricordato la Madre beata, non finisce così. C’è un terzo quadro, che presenta un dialogo fra il padre e il figlio maggiore.

Dio ha due figli. Uno prodigo e l’altro… avaro.

Perché avaro? Perché pensa che l’avaro sia il padre… che non gli ha mai dato un capretto per far festa con gli amici, mentre il padre dichiara che tutto ciò che è suo, è anche dei figli…

Di solito, attribuiamo agli altri i nostri pensieri.

Due figli, o due facce della nostra stessa anima?

Anche noi, in fondo, siamo generosi e ribelli, tirchi e ipocriti…

Dio ha pazienza con i due figli e con le due facce della nostra anima.

Quella con Dio è una storia d’amore che si ripete con tutti i suoi figli, e in ogni momento della nostra vita, quando prevale una o l’altra faccia della nostra anima.

Una storia drammatica, con il finale sospeso.

Dentro, c’è una fitta rete di relazioni: tutti siamo legati.

La mia salvezza può dipendere da te, fratello (e sorella) prodigo e avaro… e la tua salvezza da me.

Dipende soltanto da noi, da te e da me insieme fare la festa vera con Dio, o il festino con quattro amici…

Le feste vere si fanno in famiglia. La festa può essere vera, soltanto quando la famiglia è unita.

Per questo abbiamo pregato, alla vigilia della festa per la Madre.

Laici e giovani dell’Amore Misericordioso, insieme a tutto il popolo di Dio, stretti accanto alla Madre, che ha dato la vita perché vivessimo uniti come una pigna forte e compatta.

È lungo il cammino della comunione. Spesso ci perdiamo nella stretta logica della nostra giustizia senza misericordia.

Perdiamo la pazienza. Si rompe il dialogo fra padre-figlio, moglie-marito, fratello-sorella…

Mentre Dio è paziente.

Per Lui, fino alla fine, nulla è perduto. Puoi entrare alla festa, anche quando è iniziata.

Lui ha perdonato tutto, ha già pagato il debito del peccato.

L’abisso della sua Misericordia è più grande dell’abisso del nostro peccato.

Due figli… e due abissi, così diversi e così vicini.

Possiamo scegliere. La scelta è facile, in realtà, perché i due abissi sono contrari, ma non distanti.

L’abisso della Misericordia attende che il mare del peccato incontri le sue sponde.

La Madre ha scelto: essere figlia e schiava di un Dio che è tutto Amore e Misericordia.

P. Alfredo ha scelto di essere religioso e sacerdote sulla parola di una donna, di una suora alla quale Dio ha rivolto la parola sulla sua vocazione, la sua vita: essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso.

Quale scelta vuoi compiere tu, anima prediletta dell’Altissimo?

Cinque parole

Cinque parole possono esprimere il senso di una vita, scrive Alessandro D’Avenia nel suo ultimo romanzo.

Ognuno dovrebbe avere le sue cinque parole e con esse comporre una poesia, se gli piace…

I giovani c’hanno provato e magari faremo un concorso per conoscere il loro mondo interiore.

Da mesi mi sto chiedendo quali sono le mie parole.

Immagino le cinque parole che dicono la vita della Madre, la vita di Alfredo, la vita di un’Ancella, di un Figlio… di un giovane dell’Amore Misericordioso.

Guardando alla parabola, diventa facile:

Padre/Madre – Figlio/a – Fratello/Sorella –Abbraccio/Viscere – Musica

Padre,

come figlia piccolina vacillo

dopo la fuga quotidiana

lontano dal tuo abbraccio.

Anche mio fratello è solo:

senza di te che cosa

siamo?

Di notte

avverto il fremito

delle tue viscere.

Speri e attendi

sempre

il ritorno:

Figlia mia!

E il mio nome, il nostro…

è musica!

sr. Erika di Gesù