Che mondo sarebbe senza le suore (e i fratelli)?

Carissimi amici!

Che mondo sarebbe senza le suore (e i fratelli)?

Non so se c’avete mai pensato!

Quando si parla di crisi di vocazioni alla vita consacrata, e mi domandano un parere,

Madre Speranza con alcune Ancelle
Madre Speranza con alcune Ancelle

rispondo sempre che la crisi c’è perché farsi suora non va di moda…

I giovani non pensano a farsi religiosi. Quando ci pensano hanno paura, quasi che essere suora o frate sia una condanna a una vita dura, senza divertimenti, senza il brivido della libertà a tutti i costi! Insomma, non c’è speranza?

Per sfatare il pregiudizio e nutrire la speranza, vorrei proporvi un’intervista1 in convento… Nel mio convento, ovviamente!

Approfitto dell’occasione per ricordarvi che sono un’Ancella dell’Amore Misericordioso.

Le Ancelle dell’Amore Misericordioso sono una Congregazione fondata dalla Ven. Madre Speranza di Gesù ottantuno anni fa che, insieme a quella dei Figli dell’Amore Misericordioso, fondata sessanta anni fa, costituisce la Famiglia dell’Amore Misericordioso.

Il mio convento si chiama “Casa della giovane”: al momento le suore giovani sono poche, ma il nome ci piace e lo conserviamo, sia per la memoria di un passato dove tutte siamo state giovani, sia per la promessa di un più giovane futuro… Quel che è certo è che siamo giovani dentro!

Lo scopo dell’intervista è quello di svelare la nostra storia, illuminare i ricordi che spesso rendono vivaci i nostri pasti in comune, le nostre “ricreazioni”…

Farci conoscere un po’ di più potrebbe mettere la pulce nell’orecchio di qualche giovane e magari farle (fargli) venire la voglia di bussare alla porta del convento.

Anche perché… senza le suore (e i fratelli)… che mondo sarebbe?

Ecco le domande che hanno fatto breccia sulla memoria delle mie sorelle maggiori.

Per comodità, uso la forma singolare, sia nella domanda che nella risposta, riportando però il contributo di molte…

Ciao, Suor X, Suor Y, Suor Z… (in tutto sono otto!), che mi dici del tuo primo giorno in convento? Che impressione hai avuto quando hai messo piede in Congregazione per la prima volta?

Il primo giorno è stato molto felice! Da sempre avevo questo desiderio nel cuore… Mi colpiva la bellezza del Crocifisso dell’Amore Misericordioso, i cui piedi allora potevamo baciare. Quando sono entrata c’erano molte ragazze e a guardarle mi dicevo: “Questa è una vita vera, voglio anch’io donarmi al Signore così”.

Nel noviziato, a Larrondo, quasi tutti i bambini, ben quattrocento, avevano la febbre ed io pensavo: “Sono venuta a fare l’infermiera!”. Poi mi sono detta: “Non volevi aiutare gli altri? Ora ne hai l’occasione!”.

L’impressione nel complesso è stata buona, anche se era un mondo nuovo per me. Nonostante la mia timidezza e la difficoltà di non conoscere per niente la realtà del convento, mi sono ambientata subito. Le suore erano simpatiche ed accoglienti.

Certo, rispetto alla casetta di campagna del mio paese, il convento della Casa della giovane mi sembrava una caserma! Mentre la osservavo da lontano, mi domandavo: “Chissà se mi ci perdo, là dentro!”.

Come hai vissuto il distacco dai tuoi genitori, fratelli? Dai tuoi amici?

L’ho molto sofferto. Prima di partire, andai a salutare il mio papà, insieme a uno dei miei fratelli. In bicicletta, mentre attraversavamo un ponte, mio fratello mi dice: “Speriamo che si rompa questo ponte, così non vai più via”. “Così moriamo tutti e due!” gli rispondo. Tra me e i fratelli c’era un affiatamento incredibile!

Le mie amiche dicevano: “Tanto ritorni presto…”.

Il momento più difficile è stato quando ho capito che i miei genitori non li avrei visti per molto tempo, forse non li avrei visti più.

Come ha preso la tua famiglia la tua decisione di farti suora?

I genitori all’inizio hanno preso molto male la mia decisione.

Si aspettavano da me che non li avrei mai lasciati e che li avrei assistiti nella loro vecchiaia. Mi scrivevano lettere dicendomi che mi ero sbagliata ad entrare in convento.

Mi dicevano che le suore mi avevano messo una polvere nel bicchiere per farmi venire la vocazione!

Mia sorella, che era suora in un’altra Congregazione, era contraria.

Il papà ha pianto una settimana, dopo la mia partenza.

Alla fine, però, hanno rispettato la mia libertà e mi hanno lasciato andare. Quando stavo per partire, la mia mamma mi ha portato da mangiare qualcosa che aveva cucinato con le sue mani…

Come era la tua camera?

La camera aveva un lettino, un comodino, una sedia, un Crocifisso, un quadro di Maria Mediatrice, una bacinella e un secchio per lavarsi. I servizi erano in comune.

Avevi uno specchio?

Niente specchio.

Che tipo era la suora che si prendeva cura di te?

Nella mia vita, ho avuto un buon rapporto con i superiori. Nutro per loro molto rispetto e fiducia.

La madre maestra era un tipo materno ma molto esigente riguardo alla formazione. A quei tempi l’autorità doveva assumere atteggiamenti rigidi, poco affettuosi. Era così in tutte le Congregazioni. Ma questo non cancellava quei tratti di dolce e ferma maternità che la nostra formatrice aveva e riusciva a comunicare. D’altra parte, se non fosse stata così severa, non avrei sostenuto con successo le prove che ho incontrato nel rispondere alla mia vocazione.

Quali regole dovevi osservare?

Le regole da rispettare erano il silenzio, la puntualità agli atti comunitari (la preghiera, i pasti) l’attenzione a non rompere i piatti o altri oggetti di uso comune.

Ci trasmettevano uno spirito di povertà, insegnandoci a non considerare le cose di nostra proprietà, ma ad usarle con delicatezza e parsimonia. Non potevamo usare troppo sapone per lavare la biancheria. Per stirare l’abito, lo si metteva sotto il materasso. Ci dovevamo considerare non tanto “padrone”, quanto semplici amministratrici dei beni dei poveri.

Bisognava chiedere il permesso per scrivere una lettera, per dire qualcosa… Non potevamo rispondere male a nessuno, tanto meno alla nostra madre maestra o alla superiora. Non potevamo accavallare le gambe, né incrociarle. Dovevamo stare attente a non appoggiare la schiena al banco della cappella. Ci era richiesto molto rispetto alle Suore che avevano già emesso i voti: ci insegnavano a cedere loro il posto.

In generale, lamentarsi, avere pretese non era ammesso. Anche perché non corrisponde allo spirito di obbedienza e sacrificio che la vita religiosa richiede.

Quando una di queste regole veniva trasgredita, facevamo delle penitenze. Restavamo in ginocchio, in refettorio, con le braccia aperte, a forma di croce, dopo aver dichiarato ad alta voce il motivo della penitenza, mentre tutte ascoltavano la lettura di un brano tratto dalle Costituzioni o da altri libri di contenuto spirituale…

Anche Nostra Madre pregava il Rosario in questa posizione, mentre noi lavoravamo a macchina e se cercavamo di sbrigarci ad ultimare il lavoro per farla soffrire di meno, iniziava a pregare un altro Rosario. Lo faceva per la conversione di tutti i peccatori.

Raccontami una tua marachella…

Perdevo sempre l’ago e dovevo cercarlo con una calamita che passavo sul pavimento: le novizie più piccole ridevano di me. La sera si doveva mostrare il lavoro alla madre maestra ed io ogni volta dicevo: “Ho fatto questo e poi… e poi ho perso l’ago!”. Quasi ogni giorno era così.

Una volta, durante il lavoro di maglieria, non ho osservato il silenzio e ho parlato con una mia consorella. Entrambe siamo state confinate in soffitta quando le altre facevano ricreazione. Dato che anche lì mi sono messa a chiacchierare, alla fine la maestra mi ha chiesto di rimanere a lavorare nella mia camera, da sola.

Altre marachelle erano di gruppo. Un giorno la dispensiera aveva messo una trappola per topi con un bel pezzo di formaggio groviera. Noi pensammo bene di fare la parte del topo e di mangiare il formaggio. Dopo un po’ di tempo, dato che il topo non cadeva mai in trappola, la madre maestra fu informata della possibilità che le sue novizie c’avessero messo lo zampino, ma mentre ci rimproverava, disse senza accorgersi una frase così ridicola che peggiorò la situazione! Invece di dire: “Chi si è mangiata il formaggio della trappola per topi?” disse: “Chi si è mangiata il topo della trappola per topi?” (¿Quien se ha comido el ratón de la ratonera?).

E giù tutte a ridere a crepapelle, senza darlo troppo a vedere, ovviamente…

Come era la tua giornata? Quali attività svolgevi durante il giorno?

La nostra giornata era ricca di tante cose: S. Messa, pelare le patate, un’ora di formazione, che consisteva nell’ascoltare la conferenza della madre maestra, lavoro nei campi, in cucina pranzo, lavare i piatti, ricreazione, preghiera, confessione… Alcune di noi lavoravano anche in lavanderia.

A Collevalenza si lavorava a maglia, si ricamava, confezionando abiti pregiati, per la ditta Luisa Spagnoli.

Tu hai conosciuto la Fondatrice, Madre Speranza… quale ricordo hai di lei?

Ho vissuto ventitre anni con la Madre… Tanti bei ricordi, indescrivibili: aveva un cuore pieno d’amore, di perdono e di compassione, specialmente per i più deboli!

Era una donna di preghiera, una vera madre.

Nel periodo in cui, con La Spagnoli, il lavoro era indietro, la Madre ci chiese di lavorare anche di notte. Ci preparò di persona un termos pieno di caffè e alle una e venti di notte ci chiamò tutte in cucina dove diede a ciascuna una manciata di cioccolatini. Il giorno dopo, ci servì lei stessa i piatti per il pranzo, perché – diceva – io ho chiesto alle mie figlie il sacrificio del lavoro durante la notte, io devo prendermi cura di loro e preparargli da mangiare.

Una volta, nel distribuire il lavoro di ricamo, mi diede un lavoro che pensai in cuor mio fosse troppo pesante da portare a termine. E in effetti, alla fine della giornata, non riuscii a terminarlo. La Madre mi chiamò per cognome e mi disse: “Vai a confessarti!”. Io andai dal sacerdote, ma non sapevo di quale peccato fossi colpevole. La sera, prima di andare a dormire, davanti alla porta, la Madre mi fermò e mi disse: “Figlia! Oggi non hai finito il lavoro perché hai pensato che era troppo pesante per te e non lo hai fatto per il Signore!”.

Avevo l’abitudine di andare dalla Madre tutte le mattine e trascorrere un po’ di tempo con lei, quando un giorno la superiora me lo proibì. Quando la Madre si accorse che non andavo più a trovarla, mi chiese il perché e saputolo mi disse: “Nessuno può proibirti di vedere tua madre!”.

Era il 2 febbraio del 1983 e la Madre mi disse di restare con lei, nella sua stanza; mi pregava di non andare via, perché stava per andare nella casa di suo Padre, da dove era uscita, lì ritornava. Non avevo pensato che potesse riferirsi alla sua morte. Per me la Madre non doveva morire mai!

Quali parole di incoraggiamento ti ha rivolto?

“Cerca di avere fiducia nel Signore, che ti aiuta certamente… Figlia, ricordati sempre che ti devi santificare”.

“Voi siete le regine del grande Re!”.

Una volta ha preso con le mani i lembi del grembiule azzurro e mi ha avvolto in un abbraccio!

Quando lavoravamo per la Spagnoli, il mio compito era quello di togliere i fili dagli abiti da sposa e la Madre mi diceva che ero molto brava!

Ti hai mai rimproverato?

Qualche volta mi ha ripreso, ma con molta dolcezza e maternità. Non ti lasciava mai amareggiata per quello che diceva, per come lo diceva.

Puoi dirmi perché?

La Madre non amava le perdite di tempo.

Come ti chiamava, si rivolgeva a te?

Diceva sempre “Figlia”, oppure Vuestra Caridad, oppure mi chiamava per nome.

Che cosa diresti oggi a una ragazza che vorrebbe farsi suora?

Le direi così: Coraggio, prega molto, fai un cammino per capire bene dove il Signore ti sta chiamando. Anche la vocazione al matrimonio è bella e può essere la tua. Ma se hai nel cuore il desiderio di entrare in convento, innamorati di Gesù, della Congregazione, che è tanto bella anch’essa! Facciamo tutto per amore di Gesù, tutto per amore dei poveri!

Non aver paura di donarti al Signore. Nonostante le difficoltà, questa vita è la più bella e tu puoi essere la donna più felice del mondo, perché nessuno come Gesù riempie il cuore di gioia.

L’Amore Misericordioso è la gioia della vita!

Posso dirti di me che se rinascessi altre dieci volte, sicuramente sarei di nuovo un’Ancella dell’Amore Misericordioso.

Segui Gesù, segui l’esempio della Madre, come ho fatto io!

Grazie a tutte le mie sorelle!

sr. Erika di Gesù