Vogliamo vedere Gesù
La pericope si colloca subito dopo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. L’autore ci informa che tra coloro che erano saliti alla capitale per la festa di Pasqua c’erano dei Greci, i quali chiedono a Filippo di “vedere” Gesù. “Vedere” (greco “idéin”) in Giovanni ha un senso molto ricco: è un andare oltre le apparenze per raggiungere il mistero che esse nascondono; allora “vedere” significa non solo incontrare il Messia, ma soprattutto riconoscerlo nella sua vera identità e credere in Lui. La richiesta espressa con tanta speranza dal gruppo dei Greci traduce un’aspirazione che percorre i secoli. La figura di Gesù domina l’orizzonte della storia ed esercita un fascino indiscutibile. Anche chi vorrebbe cancellarne la memoria, ne confessa implicitamente la grandezza. Ma il mistero di Gesù sfugge a chi vuole accostarlo mosso da curiosità, da interesse storico o etico. Per Giovanni «vedere Gesù» indica lo sguardo della fede e l’apertura del cuore: condizioni indispensabili per cogliere l’identità di Gesù ed entrare in comunione con lui. Gesù non pare rispondere all’interrogativo; ma, a ben vedere, Egli in realtà risponde, anzi va al cuore della richiesta, dal momento che in poche parole rivela se stesso invitando a considerare il mistero della Croce. E lo fa ben quattro volte: con la parabola del chicco di grano (12,24), con il detto di sequela rivolto ai discepoli (12,25-26), con la descrizione del dibattito che avviene nel suo animo (12,27-28), con la solenne proclamazione conclusiva (12,32: “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”). Il che significa che non c’è altro modo per parlare di Gesù se non la croce. Incontrare Gesù implica seguirlo in una scelta di vita che si fa dono per gli altri. La fede non è una garanzia, una specie di polizza di assicurazione contro gli infortuni della vita, una dottrina che insegna a « comportarsi bene» e a non far male a nessuno. Gesù presenta un quadro radicalmente diverso e una legge molto più esigente: essere cristiani implica seguire Gesù… Che significano infatti quelle parole paradossali: «Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna»? Chi si aggrappa al proprio egoismo e alle illusioni umane (potere, successo, sensualità…), conoscerà un’esistenza sterile, chiusa. Chi invece sa dimenticare se stesso e offrire con amore la propria vita, se la ritroverà in pienezza. Il valore di una persona è legato a ciò che dona. Se ieri era Filippo che portava a Cristo e questi al Padre, oggi la missione di indicare agli uomini di buona volontà il volto di Cristo tocca alla comunità dei redenti. Tocca a noi che, amando e credendo, cresciamo nell’amore di Dio e del prossimo, indicare dove Cristo è realmente presente: anzitutto tra noi e in noi, nella misura in cui ci amiamo e viviamo nell’amore (ma gli increduli, incontrandoci, vedono in noi la testimonianza dell’amore?). Come potrebbe il Crocefisso attrarre, se non fosse in alto e ben visibile? “Attrarre” in greco (“elko”) significa “attrarre con forza”, come una calamita, non però con una violenza che incombe dall’esterno, bensì con un’attrazione interiore, affascinando. La croce attrae mostrandosi. Ciò che attira in questo modo è solitamente la bellezza o l’amore o lo splendore di una grande verità o una novità attesa e che sorprende. Il Crocefisso innalzato è la rivelazione delle insospettate profondità, della bellezza e della novità del volto di Dio: un volto che ha i tratti del dono di sé e della gratuità e fedeltà dell’amore. Tanto più che il Cristo “innalzato” svela anche un altro capovolgimento: l’amore, che tante volte pare sconfitto (come, appunto, sulla croce), è invece vittorioso, è l’unica forza che neppure la morte riesce a sconfiggere. La forza di attrazione del Crocefisso raggiunge ogni uomo. “Tutti” dice immediatamente l’universalità più completa, un tema al quale il vangelo di Giovanni è particolarmente sensibile. In Giov.11,52 si legge che Gesù doveva “morire…..non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. Nell’allegoria del pastore Gesù parla di “altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare” (Giov.10,16). In 12, 20-22 – il nostro passo, appunto – si racconta che alcuni greci chiedono di poter vedere Gesù. E in 19,37, a conclusione del racconto della crocefissione, Giovanni cita una profezia di Zaccaria: “Guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac.12,10). Tutti questi passi legano l’universalità al Crocefisso. E’ il Cristo in croce che attrae e la sua attrazione non ha confini. Forza che attrae, il Crocefisso innalzato è anche il punto dell’incontro: “Attirerò tutti verso di me”. La croce è il punto dove gli uomini dispersi e lontani – dispersi fra loro perché lontani da Dio – si incontrano. Leggendo i vangeli si ha l’impressione che la croce disperde (anche i discepoli sono fuggiti!) e invece, una volta innalzata e compresa, la croce riunisce. Si tratta di unità degli uomini fra loro e con Cristo. Ma è il “con Cristo” la forza che costruisce il “fra loro”. Gli uomini dispersi si ritrovano insieme perché ciascuno guarda nella stessa direzione, attratti tutti dalla stessa Persona (“verso di me”). La partecipazione all’Eucaristia comunione al corpo e sangue del Cristo, diventi inserimento sempre più profondo in lui.