Premessa
Carissimo amico/a
quest’anno, ho pensato di raccontarti una storia in dodici misteri, quella di J.
J. sta per… X, Y, Z, Tizio, Caio, Lui, Lei Tu, Io… Ma è anche l’iniziale di Gesù, almeno in alcune lingue, più o meno note.
È l’iniziale del Nome del Dio d’Israele.
Nella storia entreranno i nostri incontri con i giovani. Incontri facili, difficili.
Gli scontri. Successi e fallimenti.
Qua e là, affioreranno i temi delle nostre catechesi.
Temi facili, difficili.
Domande e risposte, magari quelle abbozzate nel dialogo con i ragazzi.
I misteri sono dodici. Sono misteri, perché non hanno soluzione.
Sono dodici come i mesi dell’anno, come gli apostoli. Le tribù di Israele.
Ogni mistero lascerà spazio alla tua speranza o disperazione.
Alla paura o alla fede.
Sentimenti, o meglio atteggiamenti che lascio decidere a te.
Abiti che indossi al risveglio, ogni mattina. E che colorano la tua vita.
Come quella di J.
Ritratto
J. è un ragazzo carino come Leonardo Di Caprio, anche se non lo sa.
Un adulto direbbe di lui che è adolescente, cioè che deve crescere. Ma io so che è già cresciuto.
I suoi genitori lo considerano ancora bambino.
La mamma gli prepara la colazione e lo sveglia al mattino.
Il papà gli fa spesso la voce grossa, nemmeno sa lui il perché. Così, tanto per fare il padre.
J., come tutti noi, ha una mamma e una papà.
E come tutti noi, non sa se gli vogliono bene.
Cioè, una parte di J. lo sa. Una parte non lo sa.
Entrambe le parti si muovono guerra e lo lasciano ferito, comunque.
Sia quando sa di essere amato. Sia quando sa di non esserlo.
Sia quando non sa di essere amato. Sia quando non sa di esserlo.
Perché il problema è proprio questo: che cosa c’è da sapere?
Il fatto di essere amati? O di non esserlo?
Mamma…
Il nome J. lo ha scelto sua madre. Fin da piccola sognava di avere bambini. Tanti bambini.
Li metteva schierati, sul suo letto, e raccontava loro la storia della vita.
Dalla nascita alla tomba.
Soltanto la vita di uno dei suoi eroi, però, sembrava trovare una via di fuga, alla fine.
La fuga dalla tomba.
E allora aveva deciso in cuor suo che, se avesse avuto un figlio maschio, lo avrebbe chiamato Gesù.
E J. era proprio come lei, sua madre, lo aveva immaginato.
Bello come Leonardo Di Caprio, bello come Gesù.
E le donne la chiameranno beata!
… e Papà
Quando la moglie disse al marito il nome che avrebbe voluto dare al loro bambino, il marito rimase perplesso.
Non parlava molto, il marito.
Ma pensava.
Pensa che ti ripensa, quel nome non gli andava giù.
In Spagna, forse. Ma in Italia, nessuno si chiama così.
Gesù… ma come Gesù?… Magari Gesualdo. O Salvatore… Ma Gesù!
Gesualdo, Salvatore… Nomi d’altri tempi.
Tempi che furono. Tempi che non saranno più!
Che condanna per suo figlio portare un nome così altisonante!
Nome che i “nonni” di qualsiasi età, in qualsiasi classe, avrebbero denigrato, irriso, vilipeso!
Fin dall’asilo! O Scuola dell’infanzia, che dir si voglia.
E un domani, all’università? “Gesù, si accomodi… pronto per l’esame? Posso chiederle il programma dalla A alla Z… Lei dovrebbe sapere tutto, no?”.
“Mio caro Gesù, suo padre (o Padre), come sta? La pensione di artigiano è dignitosa? Ah, già, dimenticavo… suo padre è un Padreterno!”.
E dopo la laurea?
“Il dottore è un ingegnere che fa miracoli. È specialista di costruzioni sulla roccia. Rende gloriosa la sua impresa, domina la crisi… camminando sulle acque”.
Sua moglie gli diceva che avrebbero potuto chiamarlo soltanto J., la lettera di un nome straniero.
I nomi stranieri sono bene accetti: fanno pensare alle telenovelas.
Andavano di moda, quando J. è nato.
Erano nomi moderni.
Gesù, o almeno la sua iniziale estera, era un nome nuovo.
E il papà andò a visitare il suo bambino.
Lo guardò e riguardò mentre dormiva prono sulla culla, tranquillo.
Ne spiava il profilo, ancora incerto e pure così incredibilmente somigliante al suo.
E diceva sottovoce: “Qual è il tuo nome, figlio mio? Posso saperlo, io? Non sono tuo Padre, sono soltanto il tuo papà. Non so perché sei nato e qual è il tuo destino. Tu lo scoprirai, vivendo”.
Terminato il discorso, chiamò sua moglie accanto alla culla e ripeteva le medesime parole.
La moglie allora, commossa e meravigliata, prese in braccio il piccolo J., lo baciò e lo diede al padre.
Con la premura di chi accoglie un neonato nel suo grembo, prese in mano il Libro e parlò così:
Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve.
Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più.
Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio…
E come ad un battesimo, entrambi sigillarono il nome del figlio con un segno di croce sulla fronte.
Dare un nome che rispetti il mistero è un atto d’amore.
Chissà se J. lo avrebbe mai saputo, capito?
Chissà se avrà rispetto per un nome appena pronunciato, quasi un codice segreto della sua esistenza?
Mamma e papà glielo sveleranno?
Il seguito al prossimo mistero.
sr. Erika Bellucci